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Pendolo fermo, viaggio insensato.

Valigia smarrita – specchio rovesciato

E nell’anticamera Colui che attende

E reca sul tronco il colore dei nostri tempi

Giorgio de Chirico, Nascita del manichino, 1938

 

 

Il mondo immaginario di Emanuela Giacco si anima in uno spazio indefinito che è facile percepire come l’infinito. Senza frontiere, se non quelle dei quattro lati della tela, le sue rappresentazioni sono animate da manichini e oggetti, maschere e figure umane che affiorano da fondali scuri dispiegandosi su piani ricchi di forma e di colore. Spesso ingigantite in confronto agli altri elementi, le sue figure umane calde e ben formate tentano di riaffermare la loro appartenenza alla nostra realtà. Approdano con tale intenzione però in un mondo la cui narrativa da sogno sconvolge ogni ritorno alla normalità.

Non c’è dubbio che la drammatica impostazione strutturale della rappresentazione aumenti l’impatto emotivo delle scene. L’evocazione o il suggerimento di una distanza indefinibile è un artificio spesso adoperato dai surrealisti che l’avevano colto nei primi quadri metafisici di Giorgio de Chirico: visioni urbane con prospettive lontane e un forte pathos meditativo e poetico. Questi spazi intuibili ma non identificabili con una dimensione naturale, come nei quadri qui presi in considerazione, offrono una forte teatralità alle scene rappresentate. L’illogicità del sogno non tarda a farsi percepire in visioni i cui veri protagonisti sono dei piccoli manichini da disegno operosi che agiscono da complici, qualche volta da antagonisti, con le figure umane.

La tecnica pittorica dell’artista, versatile, precisa e sciolta nella costruzione delle forme, ricca nelle scelte cromatiche, si presta anche alla definizione di elementi decorativi estremante piacevoli alla vista, ornamenti e intrecci che danno un’ulteriore espressione alla sua pittura con un sottofondo ritmico, quasi tribale, alle sue fantastiche creature.

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Katherine Robinson.

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